27 agosto 2012

La cuoca-provetta

Scusate, è più forte di me, proprio non ce la faccio a postare solo ricette di crostate, arrosti, lasagne e pasta fatta in casa (che tra l'altro non ho mai postato). E dire che mi piacciono un sacco. Ma questo blog mi invita spesso a sperimentare come quando preparai i tartufi dolci allo zafferano (qui) o la torta di quinoa (qui). Sembra quasi che a casa mia si cucinino solo insetti, radici e cetrioli di mare ma giuro che non è così. Permettetemi di fare una premessa per introdurre l'argomento di questo post. Nel corso dell'ultimo anno della scuola superiore (mi sono diplomata in grafica pubblicitaria) parlando con la prof. di matematica le dissi che avrei voluto fare il vigile urbano una volta terminati gli studi; lei mi guardò spalancando gli occhi e inorridita mi disse 'come il vigile urbano?! Tu puoi fare sicuramente di più!'. Sono certa che lei non volesse offendere nessun vigile urbano, era una bravissima insegnante, solo che si preoccupò che un'allieva (quasi) modello sprecasse il proprio talento per lo studio senza prendere in considerazione la possibilità di iscriversi all'università. Così, dopo averle confessato la mia ambizione, dovetti fermarmi a riflettere su quanto mi era stato risposto. Tuttavia le mie idee in merito al futuro continuarono ad essere piuttosto fumose fino al giorno della mia maturità quando al presidente di commissione, che mi chiese cosa volessi fare dopo il diploma, risposi 'l'ingegnere nucleare!'. Ricordo che i presenti mi guardarono con stupore e commentarono con parole di ammirazione la mia decisione. Mi diplomai e dopo un mese mi iscrissi alla facoltà di Architettura. Ancora oggi mi capita di ripensare a quella risposta senza tuttavia capirne il senso.
Sono una di quelle persone che non hanno picchi di genialità. A scuola mi applicavo e andavo bene in tutte le materie. Per certi aspetti è stata un po' una fregatura perché ero brava in tutto ma non eccellevo in niente. Direi di scarso aiuto quando si deve scegliere per il proprio futuro. Così seguii un sogno che avevo da ragazzina quando avrei voluto restaurare i dipinti  antichi e dato che la facoltà di architettura offriva una specializzazione in restauro architettonico, feci quella scelta. Tuttavia c'è una cosa in cui sono una vera campionessa: la curiosità. Beninteso, non la curiosità che ti fa impicciare degli affari altrui, ma la curiosità che ti spinge a conoscere qualcosa che non conosci. Quando scopro una cosa di cui non ne sapevo l'esistenza e penso che potrebbe interessarmi, inizio a studiarla come se fosse l'ultima cosa al mondo da fare prima di morire, mi preparo meglio che posso e poi provo a realizzarla, replicarla, e interpretarla. Forse l'università mi da dato proprio questo: un metodo di studio e la perseveranza di raggiungere un obiettivo.
Vi confesso che da giovincella, mentre le mie amiche tappezzavano la stanza con foto del loro cantante preferito o del belloccio di turno, io attaccavo al muro la gigantografia 70x100 cm. della faccia di Albert Einstein sotto alla quale capeggiava una sua storica frase "L'immaginazione è più importante della conoscenza". Avrei tanto desiderato un'immaginazione che superasse  la conoscenza, ma questo è un dono riservato ai geni che tuttavia, in quanto tali, difettano in tantissime altre cose. Magra consolazione, vero, ma pur sempre una consolazione :-)
Qualche mese fa, durante le mie escursioni sul web, mi imbattei per caso in un articolo sulla Cucina Molecolare e associai immediatamente questa tecnica allo chef Ferran Adrià e al suo ristorante spagnolo El Bulli. Adrià sperimentò e sfruttò la chimica degli elementi portandola in cucina. Così mi si accese un lampadina e in quel momento mi ripromisi che dalla mia cucina sarebbe uscito qualcosa di molecolare!
...ma l'entusiasmo svanì nel giro di qualche minuto.
Se in rete trovi milleduecentosessantaquattro modi per cucinare qualunque cosa, sulla cucina molecolare non c'è quasi nulla. Qualche filmato su Youtube, una frase scritta lì, una nota là, ma nulla di veramente di aiuto. Lessi e rilessi tutto ciò che riuscii a trovare perché avevo bisogno di capire i principi e afferrare i concetti.
Poi decisi che finalmente ero pronta per sperimentare; esclusi fin dal principio l'uso dell'azoto per ovvie ragioni e pensai agli abbinamenti. La vera difficoltà fu recuperare alcuni 'ingredienti' essenziali all'esperimento; non avendo tempo a disposizione incaricai la mia mamma di battere a tappeto tutte le farmacie della città con grande ilarità da parte dei farmacisti che mi saranno ancora grati per avergli fatto trascorre un quarto d'ora di allegria quando mia mamma gli sottoponeva le mie richieste. Ma dopo qualche settimana di ricerche e complice le ferie trascorse senza muovermi da casa, mi sono tolta questo sfizio chimico-culinario e non vi nascondo l'enorme soddisfazione quando dopo aver allestito la cucina come se fosse un piccolo laboratorio, le reazioni chimiche hanno dato l'esito che speravo.
Qui sotto il risultato del primo esperimento: tartare di gamberi con crema di barbabietole, riduzione di salsa di soia e caviale (molecolare) di wasabi.


Per questa volta non vi spiego nessuna tecnica ma solo gli ingredienti che ho usato. Vi anticipo solo che il caviale di wasabi sono delle piccole sfere contenenti un liquido al sapore di wasabi che durante la masticazione rilasciano il loro contenuto. Ho ancora in serbo altre ricette molecolari quindi consentitemi di creare un po' di suspense prima di svelarvi i dettagli della mia chimica in cucina. :-) 
(PS: in rete troverete le spiegazioni (in diverse versioni) in merito alla tecnica di sferificazione, ma spero passiate ancora a trovarmi sul questo blog per leggere anche la mia versione).

Tartare di gamberi con crema di barbabietole, riduzione di salsa di soia e caviale di wasabi

Per due persone:
24 gamberi freschissimi
1 barbabietola (già cotta la forno)
zenzero in polvere
sale
olio
mezzo lime
1 cucchiaio di acqua

Per la riduzione 
2 cucchiai di salsa di soia
mezzo cucchiaio di zucchero semolato

Ingrediente molecolare:
caviale di wasabi (**)
**(LA SPIEGAZIONE SU COME FARE IL CAVIALE, POTETE TROVARLA QUI)

Eliminare il guscio dei gamberi e il filetto nero sulla schiena, tagliarli a piccoli pezzi e marinarli per circa un'ora con il succo di mezzo lime, olio, sale e zenzero in polvere.
Tagliare a piccoli pezzi una barbabietola, frullarla con poco olio, un cucchiaio di acqua e poco sale fino ad ottenere una consistenza liscia.
Preparare la riduzione scaldando la soia e lo zucchero per circa 1 minuto nel microonde (in alternativa anche sul fuoco).
Comporre il piatto aggiungendo alla fine il caviale di wasabi.

21 agosto 2012

Dolce ossessione






Ci sono cose nella vita che scegli di fare (o di non fare) semplicemente ascoltando il suono del nome che portano. Avete mai provato a pensare alle parole? All'emozione che vi suscitano quando le pronunciate indipendentemente dal loro significato? Per quanto mi riguarda i mesi di aprile, agosto e novembre proprio non mi piacciono proprio a causa del suono del loro nome. Quando iniziano quei mesi ho come l'impressione che le cose non andranno come vorrei e mi porto dietro per quei giorni una strana sensazione che scompare solo quando si concludono. Invece settembre, ottobre e febbraio mi mettono allegria e una energia positiva mi pervade per tutta la loro durata. Insolito vero? Provate a pensare alla suggestione delle parole, agli aggettivi o ai sostantivi che vengono usati per identificare dei luoghi, delle persone o delle situazioni. La mente vive già delle emozioni prima ancora di averle sperimentate semplicemente per la suggestione delle parole.
Da circa un anno subisco l'influsso di una parola in cucina; l'ho trovata sporadicamente in qualche blog, ne sono rimasta colpita, poi rapita e infine ammaliata. Guardavo le fotografie, ne leggevo la descrizione, ne sentivo il gusto e la consistenza, ne odoravo il profumo mentre le immagini assumevano nel tempo una consistenza così reale da avere una consistenza tangibile. In questi mesi ho cercato  lo stampo per preparare questo dolce, ma era sempre troppo costoso e solo ordinabile via web. Ma quella parola era sempre lì, ricorrente e presente nella mia testa di 'donna-che-cucina'. Poi, un giorno, durante queste ferie milanesi, mi imbatto per caso in lui: lo stampo originale. In un attimo entra nel carrello, senza indugio e senza leggerne il prezzo; mi segue fino a casa, entra nella mia cucina e trova spazio tra le altre forme. Lo stampo è della Wilton, in alluminio con i tre piedini e il fondo staccabile.
L'ossessione ha un nome: Chiffon Cake, la torta americana alta circa 11 cm, dalla sofficità così marcata che il più morbido dei nostri pan di spagna non riuscirà mai ad eguagliare.
In meno di tre giorni ho usato più uova di quante non ne consumo in 6 mesi, dando sfogo al mio desiderio di Chiffon Cake; ho preparato prima la versione 'bianca' e poi la versione 'nera' (che vedete nelle foto) che ho portato ad amici per un pranzo in campagna.
Prima di iniziare qualunque cosa mi piace documentarmi; ho confrontato almeno dieci ricette di Chiffon Cake, ho letto il procedimento e la sequenza da seguire per unire gli ingredienti, i tempi di cottura e soprattutto la fase del raffreddamento, perché è lì che si nasconde il segreto di questa torta (da non confondere con l'Angel Cake senza grassi e tuorli ne con la Sponge Cake fatta con uova sbattute intere e con l'uso, in certi casi, di burro). La torta che vedete qui sotto è il risultato del mio entusiasmo!
Personalmente preferisco la versione bianca, 'nuda' e soffice, ma come tante torte americane, la Chiffon Cake richiede una farcitura, secondo i propri gusti, fatta con panna, creme, glasse o inzuppata di bagne di differenti sapori. Mangiatela come volete, ma mangiatela, perché vi assicuro che una torta così morbida e dal nome così invitante io non l'ho mai mangiata. Buona Chiffon a tutti. :-)

PS: Le foto le ho scattate al volo con il telefonino appena terminata la composizione e un minuto prima di insacchettarla e partire per la gita fuori porta; gli scatti a torta tagliata erano impresentabili ma spero di poter ovviare molto presto con la replica della versione bianca per mostrarvi la morbidezza dell'interno (in ogni caso è sufficiente fare una ricerca con Google per vedere delle foto eloquenti).


Chiffon Cake al cioccolato (ovvero la torta più soffice del mondo)

(indicazioni da seguire passo passo per lo stampo originale da 25-26 cm di diametro)

Versione NERA
285 gr di farina 00 (quella per torte)
6 tuorli
340 gr di albumi
290 gr di zucchero semolato frullato
120 gr di olio di semi (per me di girasole)
195 ml di acqua
1 bustina di lievito vanigliato
8 gr di cremor tartaro
90 gr di cioccolato fondente al 70%
1 cucchiaino di cacao amaro
1 pizzico di sale

per la crema:
1 tuorlo
100 gr di ricotta vaccina
50 gr di mascarpone
3 cucchiai di zucchero a velo

marmellata di lamponi
lamponi freschi e altri frutti di bosco a piacere

Tritate il cioccolato finemente e fatelo fondere a bagnomaria; aggiungete un pochino di olio e acqua, mescolate bene e lasciate intiepidire.
In una ciotola molto capiente, unite la componente secca: la farina setacciata, lo zucchero semolato tritato fine, il lievito setacciato, il sale e il cacao. Poi aggiungete, senza mescolare, l'olio avanzato, i tuorli e l'acqua avanzata e lasciate riposare.
In un'altra ciotola, montate gli albumi a neve fermissima unendo dopo 30 secondi il cremor tartaro.
Amalgamate bene il contenuto della prima ciotola, aggiungete il cioccolato fuso mescolando e una volta che il composto sarà uniforme, aggiungete un po' per volta gli albumi montati a neve facendo attenzione a non smontarli. Mescolate benissimo altrimenti rischiate che in fase di cottura le due masse si separino.
Nel frattempo accendere il forno (ventilato) a 160° posizionando la griglia nella parte più bassa.
Versate il composto nello stampo che NON dovrà essere MAI imburrato, oliato o rivestito con carta forno per nessuna ragione!! Deve restare così com'è per la buona riuscita della torta. Lasciate un margine di circa 3-4 cm dal bordo della tortiera
Sistemate la torta in forno a 160° per 50 minuti, poi per altri 10-15 minuti a 175°. Fate la prova dello stecchino (usatene uno lungo perchè la torta crescerà di parecchi centimetri) per verificare se l'interno è cotto.
A questo punto dovrete sfornare la torta e lasciarla raffreddare capovolta per circa un'ora. Lo stampo originale è già dotato di piedini che però non sono sufficientemente alti e si corre il rischio che si crei troppa umidità sotto la torta lasciandola bagnata. Sollevate quindi lo stampo appoggiando i tre piedini su tre tazze della stessa altezza oppure infilando il tubo centrale dello stampo nel collo di una bottiglia (io ho optato per la prima soluzione). Ogni tanto date un'occhiata alla torta perché a qualcuno è capitato che gli sia scivolata fuori da sola dallo stampo, ma se non dovesse succedere, quando si sarà raffreddata passate un coltello o una spatola lungo i bordi per staccarla e posizionatela su un piatto con la parte più larga verso il basso.
Il raffreddamento a testa in giù permette alla torta di non schiacciarsi e quindi di non perdere la sofficità. Non dimenticatelo. Se non avete lo stampo originale, va bene anche uno stampo per ciambelle, l'importante è che NON sia antiaderente.
La torta è più buona il giorno dopo quando si sarà completamente raffreddata e i sapori si saranno amalgamati. Sempre che riusciate a farla arrivare fino al giorno dopo....! :-)
Vi consiglio di coprire la torta con una borsina di plastica (tipo quelle della frutta che si usano nei supermercati) per mantenere la giusta umidità e morbidezza anche dopo 2 giorni.

Per quanto riguarda la mia decorazione ho proseguito come segue.
Ho preparato la crema mescolando il tuorlo, lo zucchero, la ricotta e il mascarpone e ho mescolato bene.
Ho tagliato la torta a metà, ho steso un velo di marmellata di lamponi, poi la crema di ricotta e ci ho annegato una bella dose di lamponi freschi. Ho richiuso e guarnito con ribes. Sulla sommità della torta ho steso un velo di marmellata di lamponi per far aderire meglio i frutti di bosco, poi ho lucidato i frutti scaldando della marmellata di lamponi diluita con un po' di acqua.