Ieri sera ho festeggiato un altro non-compleanno nel nuovo ristorante milanese di Carlo Cracco, "Carlo e Camilla in Segheria". Ammetto che la motivazione che mi ha spinta a prenotare, questa volta non è stata l'aspettativa nei confronti del cibo ma la fortissima curiosità per la location: un'antica ex segheria milanese. Così le prime parole di questo post le spenderò proprio per questo meraviglioso e inaspettato angolo di città. La segheria fino all'arrivo di Carlo Cracco, è stata gestita dalla proprietaria Tanja Solci; potrete vedere i muri rustici, il ferro segnato dalla ruggine, i grigi pavimenti che sanno di lavoro, nelle foto dei servizi di moda o di eventi esclusivi. Segheria è uno spazio in cui abiterei, un luogo annoverato tra le architetture industriali, troppo spesso distrutte per lasciare spazio ad anonimi palazzi che uccidono il territorio urbano.
L'incontro tra Tanja Solci e Carlo Cracco ha prodotto questo splendido luogo che lascia a bocca aperta non appena varcherete l'anonima porta bianca che si affaccia su Via Meda al numero civico 24.
Tanja Solci è l'art director, la mente creativa di ciò che vedrete in Segheria; lo spazio è organizzato in due aree distinte: il ristorante e la zona cocktail che affaccia sul cortile interno che verrà a breve organizzato per accogliere gli ospiti durante la stagione estiva.
Nel ristorante spiccano principalmente due elementi: l'unico tavolo bianco a forma di croce e la luce.
La luce è teatrale. Preziosi lampadari formati da gocce di cristallo, sono sospesi nell'oscuro spazio sopra le teste e illuminati a loro volta da spot di luci che rischiarano il tavolo lasciando in ombra tutto il resto. Da dietro le finestre, irrompono decisi fasci di luce calda irradiati dai proiettori posizionati all'esterno del locale; per lunghi momenti, durante la cena, sembra di essere i protagonisti di un dipinto del Caravaggio.
Tutto si gioca su questo contrasto di chiaro e scuro, di svelato e nascosto come il fagiano impagliato la cui sagoma si intravede nell'ombra, i profili di antiche voliere posizionate in un angolo o la luminosità dei piatti bianchi che si stagliano sulla scaffalatura nera all'ingresso.
E il gioco continua anche a tavola, quando ci si siede gomito a gomito con vicini a noi estranei anche se lo spazio personale è ampio e agevole. I piatti sono recuperi di ceramiche Richard Ginori, uno differente dall'altro con delicati disegni floreali, mentre numerose ceramiche completamente bianche funzionano da divisorio quasi a ricordare la tavola del tè del Cappellaio Matto di Alice nel Paese delle Meraviglie. Nessuna tovaglia copre i due assi bianchi e i tovaglioli sono di carta personalizzati con il logo del locale. Anche la scelta delle sedute non è stata casuale: la Fronzoni '64 di forma più 'maschile' e austera e la Hal di Jasper Morrison dalle curve più morbide e femminili.
In sala i camerieri, vestiti in modo casual quasi a confondersi con gli ospiti, corrono da una parte all'altra dell'ampio spazio, sparendo e riapparendo tra ombra e luce come fossero degli illusionisti; il gruppo è coordinato dal giovane Nicola Fanti, fratello di Rosa compagna di Carlo Cracco, che con professionalità e cortesia collabora al buon funzionamento della sala.
Ogni angolo di Segheria parla di materiali di recupero e di come sia possibile creare una grande suggestione ed emozione utilizzando la creatività e l'immaginazione.
Finalmente arrivo a scrivere anche della cucina di Segheria. Lo chef romagnolo è Emanuele Pollini, sous-chef del Clooney Restaurant in Nuova Zelanda e scelto per la guida di questo nuovo ristorante.
Confesso di aver letto diversi pareri discordanti sulla cucina proposta e sulla qualità della materia prima utilizzata e ho cercato di non farmi influenzare nella scelta dei piatti.
Il menu è corto ed è suddiviso tra primi piatti-piatti unici, carne al josper e i dolci.
Decidiamo di optare per la prima parte del menu, scegliendo lo 'Scrigno reale di verdure', le seppioline con piselli (piatto del giorno), la crema di carote, arance e rosmarino e l'uovo 'benedectine', sedano rapa, crusca e shiso (detto anche basilico giapponese).
I piatti erano buoni anche se confesso di non essere rimasta sorpresa dagli abbinamenti; nessuna delle pietanze sopra citate mi ha particolarmente emozionata come invece era successo durante la cena al ristorante Cracco.
Se i commenti letti su Tripadvisor puntavano il dito sul servizio (lento e impreciso) e sul gusto e qualità del cibo, per quanto mi riguarda posso dire che il servizio è stato cortese e puntuale e sicuramente il miglioramento è dovuto all'affinarsi di certi meccanismi dopo un mese dall'apertura. Sulla scelta dei sapori, a mio modesto parere, penso che ci sia ancora da lavorare per costruire un'offerta che lasci il segno nella memoria gustativa. L'impressione che ho avuto è che la suggestione dell'ambiente abbia in parte colmato l'incisività dei sapori.
Suggerisco inoltre di non tralasciare la cura dei dettagli: le bottigliette di plastica dell'acqua non si possono vedere, inoltre sarebbe auspicabile una maggiore cura nella presentazione del piatto. Trascurare i particolari è un po' come vedere una bella donna, vestita con un elegante abito ma con il trucco sbavato. Effettivamente questo calo di attenzione verso le sfumature, lascia un po' perplessi, soprattutto dopo aver cenato nel ristorante stellato dello chef Cracco e aver potuto apprezzare la precisione e la cura dei particolari. Ma sono convinta che si tratti solo della fase iniziale di un'attività che è appena stata avviata e che in futuro tornerò a correggere il presente post.