7 novembre 2014

1° Master in Food Design


Si può parlare di cibo, se non si parla solo di cibo.
Questa è la sintesi che porto con me dopo avere assistito alla conferenza stampa per la presentazione del 1° Master in Food Design, organizzato a Milano dalla SPD-Scuola Politecnica di Design e dall'Università IULM. Non è un caso che un'iniziativa di questo genere nasca proprio a Milano, luogo per antonomasia del design e della moda e che per 6 mesi la vedrà anche capitale internazionale dell'alimentazione, grazie ad EXPO.
I tempi sono maturi - afferma il Dott. Fusetti, Direttore della SPD - perché il mondo del food richiede con urgenza figure professionali che abbiano una cultura del cibo a 360° e il Master si pone come ambizioso obiettivo, quello di formare una nuova generazione di professionisti, design e manager che sappiano unire le competenze di marketing e comunicazione con la metodologia progettuale e la sensibilità al design.
E' ora di diventare 'contemporanei' e di trattare il cibo non solo dal punto di vista del prodotto e della sua trasformazione ma anche di prendere in considerazione tutti gli aspetti collaterali che ad esso sono legati in modo inscindibile come i luoghi del cibo, il design degli oggetti, l'analisi sensoriale, il food marketing, il packaging fino all'enogastronomia, la narrazione del territorio e le strategie di integrazione tra turismo e gusto.
E' un'illusione credere che la nostra esperienza gustativa si limiti solo a ciò che le nostre papille percepiscono: le emozioni che un cibo può regalarci sono fortemente (e spesso inconsciamente) influenzati da una serie di input che non siamo in grado di cogliere  in modo razionale ma ai quali il nostro cervello risponde.
Alla conferenza stampa sono intervenuti relatori illustri che ci hanno consentito un 'assaggio' di quello che sarà il master; vedere seduti allo stesso tavolo il food designer Martì Guixé, il designer Stefano Giovannoni, il gastronauta Davide Paolini, lo chef Davide Oldani,  lo psicologo Vincenzo Russo e il chief design office di PepsiCo, Mauro Porcini, non lascia dubbi in merito a quanto sarà innovativo il percorso formativo e soprattutto permette di sperare in concrete opportunità di impiego.
Questa è l'Italia che usa tutte le risorse per rinnovarsi, che vuole valorizzare il proprio Cultural Brand che si basa su quattro pilastri fondamentali: design e moda, arte e storia, territorio e turismo, qualità del cibo e tradizione culinaria. 
C'è da perderci la testa tanto è completo, ricco e multidisciplinare il programma; io ci ho lasciato il cuore...
Il master avrà inizio il 30 marzo 2015, sarà articolato in 11 moduli didattici, ed è rivolto a laureati italiani e internazionali; è prevista una selezione per individuare un numero limitato di studenti e si svolgerà completamente in lingua inglese. Vedrà la partecipazione, in veste di docenti, di designer, professori universitari, giornalisti, chef, manager e imprenditori protagonisti nei propri ambiti di competenza. 
E qui mi tremano i polsi nel darvi questo annuncio: l'AIFB-Associazione Italiana Food Blogger è stata invitata a tenere una lezione sul tema "Food Blogger"; l'intervento sarà inserito nel Modulo 4 "Food Marketing & Communication".

Per tutte le informazioni potete visitare il sito ufficiale del Master www.masterfoodesign.com

15 ottobre 2014

Pasta-gioco (o basta-gioco)


Non si gioca con il cibo.
Di solito si rivolge questa frase ai bambini che svogliatamente pasticciano con gli alimenti che hanno nel piatto. Ma il verbo 'giocare' ha davvero un'accezione negativa quando si accosta alla parola 'cibo'? Se con esso non si può giocare, per quale ragione assistiamo impotenti al suo spreco mentre metà del mondo ingrassa fino a morire e l'altra metà muore per la sua mancanza? Non è il gioco, ma la mancanza di rispetto per il cibo a segnare il confine tra il bisogno primario e l'aspetto ludico; la sua spettacolarizzazione, le gare di cucina in TV e quella specie di esibizionismo e fanatismo culinario che, in molte circostanze, diventa cattivo 'gusto', dovrebbero spingerci verso una pausa di riflessione su una delle cose più importanti per la nostra vita. Dopo l'aria e l'acqua, il cibo è l'energia primaria. 
Con il cibo non si gioca (a tavola), tuttavia non ci facciamo scrupoli nel trattarlo male in diverse circostanze, anche quando scegliamo di non sceglierlo.
Ma con il cibo, io ci gioco. 
Perché il gioco può diventare un mezzo per educare e per veicolare un messaggio, un modo per imparare a prenderci cura di noi stessi anche attraverso gli alimenti di cui ci nutriamo.
Così, prima di cucinare una semplice pasta, mi sono divertita a ritagliarla nel cartoncino e a comporla, come se fossero tessere di un mosaico, e abbinarla con tutti i colori degli ingredienti. Perché il gusto e la cultura (del cibo) sono seri, come solo un gioco può esserlo, perché ogni gioco ha delle regole da rispettare.
Mi sono fatta una pasta di carta. Una pasta che non scuoce, non deperisce, non ingrassa, non ha odore ne sapore. Una pasta-gioco. 
Oltre la destrutturazione. Oltre la cucina.
(oltre la farneticazione).


Pasta-gioco (o basta-gioco)
per due persone

GIOCO
cartoncini colorati da scegliere in base agli ingredienti
matita
forbici

Disegnare sul cartoncino la sagoma di ogni ingrediente scelto, ritagliare la sagoma ed usarla per riprodurre altri pezzi uguali in numero soddisfacente per preparare la ricetta. Alla fine del gioco, conservare in una scatola tutti i pezzi da riutilizzare per un'altra ricetta.

PASTA
200 gr di pasta riso e mais 100% integrale Riso Scotti
150 gr di mazzancolle
10 pomodorini ciliegini
mezzo bicchiere scarso di vino bianco secco
6 foglie di basilico
sale e pepe bianco
3 cucchiai di olio extravergine di oliva

Lavare bene con acqua corrente le mazzancolle, sgusciarle ed eliminare l'intestino (il filetto nero). Tenere qualche gambero con il guscio. 
Lavare i pomodorini e tagliarli in quattro parti.
In una padella, scaldare l'olio e rosolare i pomodorini per circa 4-5 minuti; aggiungere i gamberi e sfumare con vino bianco, lasciare evaporare. Salare e pepare.
Cuocere la pasta in abbondante acqua bollente salata, scolarla al dente e saltarla in padella con il condimento. Aggiungere il basilico fresco spezzettato.

28 settembre 2014

Nuovi Corsi: c'era una volta un'idea...

Chef Yann Bernard Lejard - Y.B.L Inc.
C'era una volta. 
C'era una volta la cucina, che tre anni fa mi ha portata ad aprire un blog. C'era una volta il mio interesse per le arti, il design, l'architettura e la fotografia. C'era una volta una curiosità da soddisfare. C'era una volta un nuovo inizio.
Non riuscendo a gustare il cibo senza osservarne con attenzione il colore e la forma decisi, più di un anno fa, di indagarne l'aspetto estetico cercando pubblicazioni che parlassero di questo argomento. Con grande sorpresa non trovai quasi nulla. Nulla sull'impiattamento, nulla sulla composizione cromatica e formale, nulla in merito alla scelta del piatto. Setacciai il web, link dopo link, trovando solo qualche articolo, insufficiente per rispondere alle mie domande.
Mi chiedevo come fosse possibile che un tema così importante come l'impiattamento, ovvero 'il modo di porre il cibo nel piatto', non fosse considerato nel momento in cui la cucina sembra essere argomento sulla (nella) bocca di tutti. Così un'idea bizzarra si insinuò nella mia testa, rimbalzandovi per settimane: è possibile studiare un piatto e il cibo contenuto in esso partendo dai principi delle arti visive? Dal punto di vista psicologico, cosa comporta un buono o un cattivo impiattamento? Come si impara l'arte di impiattare, ossia l'ultimo gesto compiuto da chi cucina e che influenzerà fortemente le aspettative di chi mangia?
Non sapere impiattare, non conoscerne i principi, è un po' come prepararsi per settimane per una festa ma uscire di casa in tuta da ginnastica e con i capelli in disordine. 
Il cibo buono deve essere anche bello, perché la bellezza del cibo (nel piatto) ha una fortissima componente psicologica in grado di influenzarne il gusto.
Così iniziai le ricerche e più leggevo, più avevo conferma del fatto che 'mangiare' è un'esperienza multisensoriale e il senso del gusto è, paradossalmente, l'ultimo dei 5 sensi ad essere coinvolto. Le interviste a grandi chef, come quella al maestro Gualtiero Marchesi che vive da moltissimi anni a stretto contatto con l'arte, confermarono la mia convinzione che le persone geniali sono prima di tutto degli eclettici che non si limitano ad esercitare solo le 'proprie competenze' ma attingono esperienza dalla creatività che li circonda. Volete sapere come è finita? Che se l'arte dell'impiattamento è uno degli aspetti creativi della cucina, i principi delle arti visive ne governano la disposizione. 
Vorrei ringraziare tutte le persone che fino ad oggi mi hanno aiutata, supportandomi e consigliandomi, gli chef che si sono resi disponibili al confronto e che hanno dimostrato interesse al mio progetto. Così dopo oltre un anno di studio, il mio progetto prende forma!
Sono nati due corsi che inizierò a tenere in alcune scuole di cucina di Milano (ma spero di arrivare anche più lontano). Il mio 'numero zero', la mia prima lezione, l'ho tenuta nel mese di aprile ai ragazzi dell'Istituto Alberghiero Amerigo Vespucci di Milano: una grande emozione e un ottimo riscontro.
Se vi ho incuriositi, se pensate che il cibo deve essere bello oltre che buono, se avete già seguito tutti i corsi di cucina ma pensate manchi qualcosa alla vostra preparazione,  non esitate a scrivermi!
I corsi sono per ora due: il primo tratta il tema dell'impiattamento, ed rivolto sia ai professionisti della ristorazione che agli appassionati di cucina; dato che sono una grande sostenitrice delle collaborazioni e della professionalità, questo corso lo terrò in collaborazione con degli chef. 
Il secondo è un corso per i genitori ma non solo, è rivolto a tutte le persone che si occupano di cucinare per i bambini; un corso dove si affronta il tema della bellezza del cibo (e dell'impiattamento) allo scopo di agevolare i bambini che hanno difficoltà a consumare verdura e frutta.
Vi riporto di seguito un'introduzione ai due corsi; per maggiori informazioni inviatemi una email a ilsensogusto@gmail.com


Credit: Pinterest

Progetto
CIBOFORMA&COLORE
Perché si mangia anche con gli occhi

“MANGIAMO CON GLI OCCHI: perché un ottimo cibo può finire solo con una bella forma"
L’impiattamento non dovrebbe essere solo una decorazione, ma parte integrale dell’esperienza multisensoriale del cibarsi. Se, come dice l’espressione popolare, noi mangiamo con gli occhi, la presentazione visiva dovrebbe essere importante quasi quanto le qualità sensoriali del cibo stesso. Il modo in cui gli elementi sono disposti in un piatto, può creare ogni volta percezioni gustative differenti. Inoltre, le aspettative prodotte dall’aspetto visivo, giocano un grandissimo ruolo nella formazione dell’esperienza di chi mangia. 
Se l’impiattamento può essere considerato alla stregua di un’arte figurativa, possiamo domandarci se in queste arti ci sono leggi e principi rigorosi oppure se la valutazione estetica del colore e della forma compositiva è esclusivamente soggettiva? Tutti i più grandi professionisti delle arti visive (fotografi, designer, pittori, stilisti, ecc), possiedono una profonda conoscenza dell’essenza e della teoria dei colori questo perché i colori esercitano un’influenza profonda che agisce sia che si conoscano, sia che si ignorino le conseguenze. Pertanto dovrebbe essere altrettanto necessario per coloro che amano cucinare, acquisire le tecniche di base relative alla percezione del colore e della forma, per non rischiare di incorrere in errori nella preparazione e nella presentazione di un piatto. 
Ogni buon piatto perde di valore, spesso anche di gusto, se presentato male, con i colori sbagliati e con gli abbinamenti sbagliati. La cucina è una vera e propria arte che non può essere confinata all’atto di eseguire fedelmente una ricetta. Senza la vena creativa, di fatto, l’arte si svuota lasciando il posto all’imitazione e all’esecuzione puramente tecnica.
Il corso consentirà ai partecipanti di acquisire i principi della composizione e della teoria del colore applicati all'impiattamento; nel corso si affronteranno i risvolti psicologici in relazione all’aspetto del cibo. La parte pratica del corso fornirà spunti pratici e consigli per l’ideazione di impiattamenti.

(*) I corsi per professionisti e per appassionati avranno durate differenti per consentire ai primi un maggiore approfondimento degli argomenti teorici e maggiore spazio alla parte pratica.

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“HO UN ALIENO NEL PIATTO! I bambini, le forme e i colori del cibo” 
"No, non lo voglio, non mi piace!" esclama Andrea, 7 anni, davanti a un piatto di piselli cucinati con cura. Cosa fare davanti all'ennesimo rifiuto? Che strategia adottare?
Non ci sono più dubbi: le esperienze gustative sviluppate dal bambino, dallo svezzamento in poi, tendono a condizionare le scelte alimentari nella vita da adulto; ma il gusto nasce molto precocemente: fin dalla fase fetale il cibo con cui si alimenta la mamma influenzerà il gusto del bambino. Ma per quale motivo i bambini tendono a preferire cibi con alta densità energetica e hanno una naturale predisposizione a scegliere cibi dolci e grassi? Che influenza hanno la predisposizione genetica, i comportamenti famigliari e il contesto sociale sulla scelta del cibo da parte dei bambini?
I colori e il modo in cui si dispone il cibo nel piatto possono indirizzare le scelte alimentari creando ogni volta percezioni gustative differenti. Le aspettative prodotte dall’aspetto visivo, giocano anche un grandissimo ruolo nella formazione dell’esperienza di chi mangia, includendo l’orientamento dei comportamenti.
Il colore è una delle componenti fondamentali dell’aspetto visivo ed estetico di un alimento, la prima cosa che spesso condiziona la nostra scelta e che genera, ancor prima del gusto, la formazione dell’acquolina in bocca. La prima impressione è quella che influenzerà i nostri successivi giudizi e comportamenti. Una singola ed unica esperienza negativa avrà un peso maggiore, rispetto a ripetute esperienze positive. 
Corso per mamme e papà e per tutti coloro che si occupano della preparazione dei cibi per bambini. Perché molti bambini non mangiano le verdure? Come si forma il gusto? Alcuni suggerimenti  per rendere più appetibile il cibo (ai bambini) attraverso l’uso del colore, delle forme e dell’impiattamento.


8 settembre 2014

Arabeschi del mare: mousse di trota con perle nere


C'è una cosa che cerco costantemente nella vita: la coerenza. E spesso c'è di mezzo il mare.
E' difficile agire discostandosi poco dal pensare, ma per me è una specie di pratica zen, c'è chi medita e chi si esercita con la coerenza. 
Coerenza significa anche rispetto; ci vuole coerenza per allinearsi al Sè interiore e fare emergere quello che realmente siamo. Prima l'ascolto e poi la coerenza nel portare avanti le scelte in autonomia.
Sto scrivendo in un blog di cucina e non ho ancora digitato una riga che parli di cibo. Ma questo è un tentativo per cercare di spiegare quello che sta accadendo e che state vedendo negli ultimi mesi: un vero e puro delirio di alici che volano, di acqua di cozze intrappolata in un parallelepipedo  e di risotti che volevano essere una birraOrmai mi annoio a ribadirvi il concetto e chissà se un giorno succederà anche a me di utilizzare per un set un'asse di legno sverniciata o una posata vintage
Questa volta dalla capsula in cui mi rifugio a meditare (alias la doccia) è uscito questo mix di mandala tibetani e centrini della nonna; per restare in tema di pratiche zen, sappiate che ho impiegato più di mezz'ora per posizione le piccole uova nella forma che vedete. 
E' ormai dichiarato: sento un bisogno impellente di mangiare con gli occhi. 


Arabeschi del mare

per la Mousse di trota bianca
2 filetti di trota bianca
un piccolo scalogno
100 ml di panna fresca
un pizzico di sale
pepe bianco
1 cucchiaio di olio extravergine di oliva

50 gr di uova di lompo 

10 Risette “Riso Scotti” (Rice Design)

Pulire e tagliare sottilmente lo scalogno. Farlo appassire in una padella con l’olio facendo attenzione a non farlo bruciare. Aggiungere i filetti di trota bianca lasciando la pelle a contatto con la padella, salare poco e pepare. Coprire con un coperchio e abbassare la fiamma fino a completa cottura. Fare intiepidire. 
Togliere la pelle alla trota, controllare la presenza di eventuali piccole spine e frullare la polpa insieme allo scalogno. Aggiungere la panna poco per volta fino ad ottenere una mousse morbida. Spalmare la mousse sulle Risette e aggiungere mezzo cucchiaino di uova di lompo.

(*) Può essere consumato come antipasto ma anche al posto di un pranzo leggero. E' una proposta economica perché la trota bianca si trova ancora ad un buon prezzo e le uova di lompo sono accessibili. Se volete variare la cromia, potete usare le uova rosse di trota. Le risette assorbono molto l'umidità della mousse quindi andrebbero preparate poco prima di essere servite. Una fetta di pane tostato invece garantisce una maggiore resistenza.

18 luglio 2014

Ristorante Dolomieu e la sua prima stella.



Grazie agli amici E & U, anche quest'anno siamo riusciti a mettere il naso fuori da Milano per un felice ma piovoso fine settimana. Siamo approdati in uno degli (pochi) angoli d'Italia che ti fanno sentire in un'altra nazione, tanto sono verdi i prati, pulite le strade e le aiuole curate. Ti viene un sospetto: forse la linea di confine è stata spostata e non te lo hanno detto e, per un motivo ignoto, lassù tra quelle montagne, il rispetto per il bene comune ha ancora un certo valore.
Anche quest'anno, i nostri amici ci hanno ospitato a Madonna di Campiglio (TN) che oltre ad essere una nota località sciistica, è anche l'unica località alpina ad avere ben tre ristoranti stellati. Praticamente più stelle che abitanti.
Del primo stellato che abbiamo provato un paio di anni fa (la Stube Hermitage) non ve ne ho parlato, forse perché pur trovandolo di altissimo livello, non ero particolarmente desiderosa di immortalare il momento; sarò antica, ma riesco ancora a cenare in un ristorante senza neppure fare una foto al piatto .
Ma non potevo sorvolare su quest'ultima esperienza, perché per la prima volta la cucina di un ristorante mi ha davvero rapito il cuore (e lo stomaco). Il colpo di fulmine è un po' come il 'mal d'Africa': o lo senti dentro oppure resta solo una sensazione raccontata da altri.
Se fossi tanto convincente da farvi venire voglia di partire per Madonna di Campiglio alla volta del ristorante Dolomieu, sappiate che 1) ha una apertura stagionale; 2) se volete andarci in inverno, prenotate ora 3) il ristorante è all'interno di un hotel ed è diviso in due zone: quello con un menu più tradizionale e quello dove ho cenato io. Quest'ultima con pochissimi posti disponibili.
La brigata è guidata dal 'romagnolosissimo' chef riminese Enrico Croatti, giovane ma con importanti esperienze internazionali. La stella è fresca di alcuni mesi (novembre 2013), ma per quanto mi riguarda, potrebbero già dargli la seconda.
Il menu è un susseguirsi di pesce e carne, Italia ed Estero e nella carta dei vini, ci sono anche le birre. 
Non ho alcuna preparazione per poter fare una valutazione tecnica, ma la raffinatezza dei piatti e degli abbinamenti, la qualità della materia prima e la ricercatezza formale e cromatica sono cose che riesco a cogliere anche solo come portatrice di occhi e papille.
Il successo di un ristorante non dipende solo dalla cucina, ma anche dalla gentilezza e discrezione del personale di sala, dalla precisione con cui viene spiegato il menu, da come viene servito un cibo o consigliato un vino; dalla disponibilità dello chef che ogni tanto esce dalla cucina per fare due chiacchere con gli ospiti, dal silenzio garbato della sala. E cosa c'è di più soddisfacente nel sentire i sussurri di meraviglia per ogni piatto che esce dalla cucina? Perché mangiare va oltre il gusto.
Non potevo non scrivere questo post, perché il ricordo di quei sapori, da oggi passeranno da queste immagini, che non danno pienamente merito alla bellezza dei piatti (lo smartphone ha i suoi limiti).
Ma sono certa che lo chef mi perdonerà :-)
(PS: menzione speciale ai passatelli al profumo di limone in brodo di funghi porcini. La foto non si poteva vedere).

foto di apertura: Tartare di salmone su crema di zucchine e biscuit alla nocciola



Risotto al latte di capra, caprino erborinato ai fiori di malva e polvere frutti rossi (mantecato con amido di riso)

Storione bianco affumicato a crudo, caviale, foglie selvatiche, spuma tiepida di patate all'olio extravergine del Garda


Torta barozzi con tre tipi di ciliegie

Lamponi e barbabietole, yogurt, vaniglia, meringa al miele e alghe

Panna cotta al cioccolato bianco e lime, pesche, nocciole tostate

23 giugno 2014

SorRISO!


In attesa che la nebbia si diradi e riesca a vedere più in là del mio naso, oggi si fa veloce. La cosa che richiede più tempo è l'ammollo dei ceci, per tutto il resto sono necessari solo una decina di minuti per preparare un antipasto, una merenda e magari una ricca colazione da offrire anche agli amici celiaci (per una volta dò anche io il mio contributo alla tua causa, cara la mia amica 'ninja' Stefania) e vegetariani.
L'idea è semplice: due mini Risette biologiche Riso Scotti (ormai siamo pluripremiati per il progetto Rice Design) ripiene di una soffice crema al formaggio caprino oppure di una gustosa crema vegana alle barbabietole rosse.
Li ho chiamati Riscotti e potete prepararli con qualche ora di anticipo e mangiarli quando volete voi.


Riscotti con crema alla barbabietola rossa

20 Mini Risette Biologiche Riso Scotti
80 gr. di barbabietola rossa lessata
120 gr di ceci lessati
¼ di cipolla bianca
1 cucchiaino di polvere di cumino (se piace)
1 cucchiaino di semi di sesamo bianco
1 cucchiaio di aceto di vino bianco
1 cucchiaino di succo di limone
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
sale

Tagliare la cipolla a dadini, metterla in una ciotola e irrorarla con l’aceto e il limone e lasciare riposare per circa 15 minuti.
Frullare i ceci lessati con la barbabietola, aggiungere la cipolla, il cumino e i semi di sesamo. Mentre si continua a frullare, aggiungere l’olio extravergine di oliva. Si dovrà ottenere un composto omogeneo ma non troppo morbido.
Mettere un cucchiaino di crema al centro di una risetta, chiudere con l’altra risetta e schiacciare leggermente. Conservare in frigorifero fino al momento del consumo.




Riscotti con crema al formaggio (di capra)

20 Mini Risette Biologiche Riso Scotti
2 caprini di latte di capra
1 cucchiaio di olio extravergine di oliva
pepe nero macinato a piacere
circa venti pistacchi al naturale (non salati)

Lavorare il caprino con una forchetta, condire con pepe e olio extravergine di oliva. Tritare grossolanamente al coltello i pistacchi.
Mettere un cucchiaino di formaggio al centro di una risetta, chiudere con l’altra risetta e schiacciare leggermente. Passare il bordo del Riscotto nella granella di pistacchi. Conservare in frigorifero fino al momento del consumo.

29 maggio 2014

I love spring


Ci sono momenti in cui si sente il bisogno di mettere ordine partendo dagli armadi fino ad arrivare alle proprie competenze. L'ho già detto: sono una ricercatrice seriale di informazioni, con l'aggravante di esigere da me stessa, una precisione quasi maniacale; ma 'la curiosità uccise il gatto', come recita il proverbio e, a volte (poche), mi trovo ad invidiare quelle persone che si concentrano e considerano degne del loro interesse, al massimo un paio di cose. Ho imparato a mie spese che un argomento lo si può conoscere bene solo se si scende in profondità nell'apprendimento, mentre il desiderio di imparare e di fagocitare tante informazioni, comporta necessariamente un galleggiamento in superficie anche se regala il vantaggio di avere sempre un argomento di cui parlare :-)
Tornando alla confusione, ogni qualvolta che essa prende il sopravvento nella mia testa, mi trovo a discutere animatamente tra me e me, ammonendomi con un 'metti in ordine! Questo cervello non è un albergo!' e solo allora inizio le pulizie: per prima cosa impacchetto per bene le informazioni che non uso più e le confino in un angolino (e so che inevitabilmente le dimenticherò), poi catalogo con attenzione le informazioni che mi serviranno, dò una spolverata alle sinapsi e riparto facendo un passo indietro per farne due in avanti.
Così funziono anche in cucina.
Non esiste un ordine in questo blog. Non una preparazione di base, se non i tentativi della  parentesi molecolare; non una sezione dedicata alle ricette della tradizione o ai classici della pasticceria, e non si trovano nemmeno le briciole di una pagnotta auto-prodotta (anche se ho rifatto almeno dieci volte i fantastici panini per hamburger di Martina oltre a tante ricette che ho preso dai vostri blog, miei cari amici inconsapevoli).
Così, in preda ai sensi di colpa per non aver pubblicato fino ad oggi almeno una ricetta di base, ho deciso di cominciare proprio da una preparazione che un tempo destava preoccupazione in chi la doveva preparare, mentre con un minipimer a disposizione, richiede lo stesso tempo necessario ad aprire un barattolo di quella già pronta... con tutto il vantaggio di scegliersi gli ingredienti e risparmiare. Avete indovinato di cosa sto parlando? Della maionese. 
Approfitto della stagione primaverile e delle verdure fresche e croccanti che ci regala, per proporre in un sol colpo oltre alla maionese, anche la più classica insalata russa con la personale aggiunta delle zucchine, che voi potrete omettere per restare fedeli alla versione tradizionale. La Wiki(pedia) dice che l'insalata russa è conosciuta nella tradizione russa come insalata moscovita o insalata Olivier anche se è di probabile origine francese.
Qualunque sia la sua origine, a me la maionese regala la felicità e ci vogliono solo 40 secondi per prepararla.
Voi quale olio utilizzate per prepararla? Alcuni usano l'olio evo, altri quello di girasole, altri ancora quello di arachide... penso che per il sapore, la scelta dell'olio sia fondamentale. Voi come la fate? Aceto o limone? Classica o aromatizzata? Con uova crude o tuorli lessati? Mi è partito il trip! :-)

PS: Per rendermi l'esistenza più complicata, ho deciso che per la prima foto dovevo utilizzare un filo, infilarci le verdure ed appenderle come ciondoli. Per fermarli e poi fotografarli ci ho impiegato 'solo' 30 minuti...!

Insalata russa con verdure primaverili
2 carote
2 zucchine
1 patata media
2 manciate di piselli freschi

Per la maionese (ricetta tratta dal blog di Martina e rivisitata)
1 uovo intero freddo di frigo
220g di olio di girasole biologico freddo di frigo
3 cucchiai di limone
due pizzichi di sale

Lavare le verdure e sbucciare le carote e le patate. Tagliare a piccoli dadini e scottarle in acqua bollente per circa 8 minuti (devono restare leggermente croccanti). Scolarle e farle raffreddare.

Versate gli ingredienti nel bicchiere del minipimer seguendo in questa successione: uovo, olio, sale (senza rompere il tuorlo).
Inserire il minipimer impostato alla massima velocità toccate il fondo del bicchiere. Azionarlo senza muoverlo per i primi 10 secondi. Quando gli ingredienti inizieranno ad amalgamarsi, cominciare a sollevare e abbassare il minipimer fino a che la maionese sarà montata e addensata. In circa 30 secondi otterrete la vostra splendida maionese. Aggiungere il limone alla fine mescolando lentamente.

Unire la maionese alle verdure raffreddate, salare a piacere e mescolare accuratamente.

(*) Accompagnare con crackers di riso Riso Scotti - www.ricedesign.it

11 maggio 2014

Di pere e di formaggio e di quanto la fortuna conti nella vita


Lo so. 
Sono sparita. 
Dal mio e dai vostri blog. 
Chiamatela disintossicazione, mancanza di idee, un po' di stanchezza ma soprattutto grandi cambiamenti. Vorrei scrivere di più della mia vita, delle scelte radicali, delle decisioni che potrebbero portarmi verso il baratro o verso una nuova vita (professionale), ma preferisco astenermi e rammentare le parole citate dall'attore che interpretava Mark Zuckerberg nel film "The Social Network", che dicevano che su internet non si scrive con la matita, ma con l'inchiostro e che tutto ciò che postiamo generosamente in rete, ci resterà per parecchio ma parecchio tempo e soprattutto visibile a tutti, anche qualora dovessimo decidere di cancellare i nostri account. Gente! Siamo nell'era della reputazione digitale, non dimentichiamocelo. 
Se c'è una cosa che mi piace fare è distillare gli insegnamenti della vita dal quotidiano, nel senso che ogni tanto mi piace osservare le situazioni che sto vivendo come se fossi un osservatore esterno e neutrale per cercare di coglierne il succo. Così in questi ultimi 4 mesi in cui la mia vita è decisamente cambiata, mi sono resa conto che il tempo che passa ha assunto un altro significato, che la parola 'libertà' ha un sapore diverso rispetto a quella che immaginavo, che le motivazioni pesano come macigni e che 'volere NON è potere'. La cinematografia (soprattutto americana) riempie gli schermi e le nostre illusioni con l'idea che sia sufficiente 'volere intensamente' una cosa, per poterla ottenere. Ma il classico happy end è solo nei film. Ci si dimentica che nella realtà i fattori che entrano in gioco sono molteplici e io, cresciuta con la certezza del 'tu-studia-e-io-ti-premio(con un buon voto)', ho avuto l'amara sorpresa di scoprire che la vita da adulto è ben diversa dalla comoda e protetta vita da studente.
Nella vita ci vuole indubbiamente bravura, audacia, capacità, determinazione ma anche tanta fortuna. Senza il minatore che, per pura coincidenza, si imbatte nel cristallo, anche il più prezioso e splendido diamante resterebbe nascosto nelle profondità della terra. Ebbene, la fortuna è proprio l'incontro con il 'minatore', chiamato anche 'Opportunità'. La fortuna è sempre parte della nostra vita, lo è per il contadino, la  cui fatica di una semina può esser vanificata da una violenta grandinata, e lo è per tante persone che perseverano, credono e lottano per  raggiungere un obiettivo. Ma come cantava Morandi: 'uno su mille ce la faaaaaa'. Perché volere NON è potere.
Qui l'ottimismo non c'entra e nemmeno la resilienza (parola assai di moda negli ultimi tempi). Sono cintura nera di tentativi mirati a modificare la 'rotta', tentativi fino ad ora andati a vuoto...dovrò decidere se arrendermi e gettare alle ortiche i miei sogni o darmi un'ultima possibilità. Il suono del tempo che scorre è molto più forte quando la posta in gioco è alta.
Vorrei ringraziare, in particolare, due persone che in questo periodo sanno perfettamente in quale stretto sentiero io stia camminando e per affinità e vicinanza di percorso, riescono a darmi il giusto incoraggiamento: grazie Elisa e Stefy!

Vi saluto con questa ricetta che mi sono inventata per il progetto Rice Design

Ricotta e pere in pan di spagna, scaglie di mandorle tostate con sfere di cioccolato e riso soffiato
Per 10 dolcetti 

Per il pan di spagna
200 g di uova intere a temperatura ambiente
100 g di zucchero semolato
100 g di farina “00”
un pizzico di sale

Per la crema alla ricotta
200 gr di ricotta di latte vaccino
1 pera Decana
2 cucchiai di zucchero

Per le sfere al cioccolato
1 confezione di Ciocco e Riso ‘Riso Scotti’ (ma potete usare del semplice riso soffiato aumentando di 100 gr la quantità di cioccolato al latte)
100 gr di cioccolato al latte

Scaglie di mandorle

Per la preparazione del pan di spagna:
Montare le uova con lo zucchero e il sale nella planetaria o con le fruste elettriche, a velocità media per circa 15 minuti. Il composto dovrà essere chiaro e gonfio perché avrà incorporato aria. Aggiungere un po’ alla volta la farina setacciata facendo attenzione a non smontare il composto. Versare l’impasto in una teglia imburrata e infarinata di 21-22 cm di diametro, cuocere in forno statico preriscaldato a 160°C, per circa 30 minuti o fino a quando sarà leggermente dorato. Lasciarlo raffreddare completamente. Una volta che sarà completamente freddo, ritagliare 10 cubi utilizzando solo la parte centrale.
Per la crema alla ricotta:
Sbucciare la pera, eliminare il torsolo, tagliarla a pezzi e metterli in un pentolino antiaderente. Far cuocere la pera a fuoco basso fino a quando non saranno morbide. Se ci fosse del liquido, alzare la fiamma e farlo evaporare quasi completamente.
Fare raffreddare le pere schiacciarle grossolanamente e poi aggiungerle alla ricotta mescolata con lo zucchero.
Per le sfere al cioccolato:
Sciogliere a bagnomaria i cioccolati. Farli raffreddare fino a poterli modellare con le mani e fare delle sfere della dimensioni di una noce.

Tostare le scaglie di mandorle in un padellino antiaderente.

Comporre il dolce:
Tagliare a metà i cubotti di pan di spagna e farcirli con un pochino di ricotta con le pere; immergere i cubotti nella crema avanzata e passarli subito nelle scaglie di mandorle.

Servirli appoggiando sul cubo, una sfera di cioccolato.

23 marzo 2014

Carlo e Camilla in Segheria


Ieri sera ho festeggiato un altro non-compleanno nel nuovo ristorante milanese di Carlo Cracco, "Carlo e Camilla in Segheria". Ammetto che la motivazione che mi ha spinta a prenotare, questa volta non è stata l'aspettativa nei confronti del cibo ma la fortissima curiosità per la location: un'antica ex segheria milanese. Così le prime parole di questo post le spenderò proprio per questo meraviglioso e inaspettato angolo di città. La segheria fino all'arrivo di Carlo Cracco, è stata gestita dalla proprietaria Tanja Solci; potrete vedere i muri rustici, il ferro segnato dalla ruggine, i grigi pavimenti che sanno di lavoro, nelle foto dei servizi di moda o di eventi esclusivi. Segheria è uno spazio in cui abiterei, un luogo annoverato tra le architetture industriali, troppo spesso distrutte per lasciare spazio ad anonimi palazzi che uccidono il territorio urbano.
L'incontro tra Tanja Solci e Carlo Cracco ha prodotto questo splendido luogo che lascia a bocca aperta non appena varcherete l'anonima porta bianca che si affaccia su Via Meda al numero civico 24.
Tanja Solci è l'art director, la mente creativa di ciò che vedrete in Segheria; lo spazio è organizzato in due aree distinte: il ristorante e la zona cocktail che affaccia sul cortile interno che verrà a breve organizzato per accogliere gli ospiti durante la stagione estiva.
Nel ristorante spiccano principalmente due elementi: l'unico tavolo bianco a forma di croce e la luce. 
La luce è teatrale. Preziosi lampadari formati da gocce di cristallo, sono sospesi nell'oscuro spazio sopra le teste e illuminati a loro volta da spot di luci che rischiarano il tavolo lasciando in ombra tutto il resto. Da dietro le finestre, irrompono decisi fasci di luce calda irradiati dai proiettori posizionati all'esterno del locale; per lunghi momenti, durante la cena, sembra di essere i protagonisti di un dipinto del Caravaggio.
Tutto si gioca su questo contrasto di chiaro e scuro, di svelato e nascosto come il fagiano impagliato la cui sagoma si intravede nell'ombra, i profili di antiche voliere posizionate in un angolo o la luminosità dei piatti bianchi che si stagliano sulla scaffalatura nera all'ingresso.


E il gioco continua anche a tavola, quando ci si siede gomito a gomito con vicini a noi estranei anche se lo spazio personale è ampio e agevole. I piatti sono recuperi di ceramiche Richard Ginori, uno differente dall'altro con delicati disegni floreali, mentre numerose ceramiche completamente bianche funzionano da divisorio quasi a ricordare la tavola del tè del Cappellaio Matto di Alice nel Paese delle Meraviglie. Nessuna tovaglia copre i due assi bianchi e i tovaglioli sono di carta personalizzati con il logo del locale. Anche la scelta delle sedute non è stata casuale: la Fronzoni '64 di forma più 'maschile' e austera e la Hal di Jasper Morrison dalle curve più morbide e femminili.
In sala i camerieri, vestiti in modo casual quasi a confondersi con gli ospiti, corrono da una parte all'altra dell'ampio spazio, sparendo e riapparendo tra ombra e luce come fossero  degli illusionisti; il gruppo è coordinato dal giovane Nicola Fanti, fratello di Rosa compagna di Carlo Cracco, che con professionalità e cortesia collabora al buon funzionamento della sala.
Ogni angolo di Segheria parla di materiali di recupero e di come sia possibile creare una grande suggestione ed emozione utilizzando la creatività e l'immaginazione.


Finalmente arrivo a scrivere anche della cucina di Segheria. Lo chef romagnolo è Emanuele Pollini, sous-chef del Clooney Restaurant  in Nuova Zelanda e scelto per la guida di questo nuovo ristorante.
Confesso di aver letto diversi pareri discordanti sulla cucina proposta e sulla qualità della materia prima utilizzata e ho cercato di non farmi influenzare nella scelta dei piatti.
Il menu è corto ed è suddiviso tra primi piatti-piatti unici, carne al josper e i dolci. 
Decidiamo di optare per la prima parte del menu, scegliendo lo 'Scrigno reale di verdure', le seppioline con piselli (piatto del giorno), la crema di carote, arance e rosmarino e l'uovo 'benedectine', sedano rapa, crusca e shiso (detto anche basilico giapponese).


I piatti erano buoni anche se confesso di non essere rimasta sorpresa dagli abbinamenti; nessuna delle pietanze sopra citate mi ha particolarmente emozionata come invece era successo durante la cena al ristorante Cracco. 
Se i commenti letti su Tripadvisor puntavano il dito sul servizio (lento e impreciso) e sul gusto e qualità del cibo, per quanto mi riguarda posso dire che il servizio è stato cortese e puntuale e sicuramente il miglioramento è dovuto all'affinarsi di certi meccanismi dopo un mese dall'apertura. Sulla scelta dei sapori, a mio modesto parere, penso che ci sia ancora da lavorare per costruire un'offerta che lasci il segno nella memoria gustativa. L'impressione che ho avuto è che la suggestione dell'ambiente abbia in parte colmato l'incisività dei sapori.
Suggerisco inoltre di non tralasciare la cura dei dettagli: le bottigliette di plastica dell'acqua non si possono vedere, inoltre sarebbe auspicabile una maggiore cura nella presentazione del piatto. Trascurare i particolari è un po' come vedere una bella donna, vestita con un elegante abito ma con il trucco sbavato. Effettivamente questo calo di attenzione  verso le sfumature, lascia un po' perplessi, soprattutto dopo aver cenato nel ristorante stellato dello chef Cracco e aver potuto apprezzare la precisione e la cura dei particolari. Ma sono convinta che si tratti solo della fase iniziale di un'attività che è appena stata avviata e che in futuro tornerò a correggere il presente post.